19 Lug RESPONSABILITA’ DELL’AMMINISTRATORE PER MANCATA RICOSTITUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE: GLI ESBORSI DEI SOCI SONO VERSAMENTI IN CONTO CAPITALE O FINANZIAMENTI?
Con ordinanza n. 15035 dell’8 giugno 2018, la Corte di Cassazione ha ribadito i criteri per la corretta qualificazione dei versamenti effettuati dai soci.
Il caso deciso dalla Suprema Corte prende le mosse da un’azione di responsabilità promossa dal curatore di un fallimento nei confronti degli eredi dell’amministratore unico della società fallita, colpevole di non essersi attivato per promuovere lo scioglimento della società o la ricostituzione del suo capitale sociale, eroso dalle notevoli perdite subite dalla società per diversi anni antecedenti al fallimento.
Dal canto loro, gli eredi resistenti in giudizio contestavano quanto dedotto dalla curatela: l’amministratore non sarebbe rimasto inerte di fronte alle perdite rilevanti ai sensi dell’art. 2447 c.c., che, difatti, erano state in parte ripianate da alcuni versamenti fatti dai soci della fallita. Pertanto, non poteva ravvisarsi alcuna inadempienza e conseguente responsabilità in capo all’ex amministratore.
Tuttavia, la Corte di Cassazione, con la richiamata ordinanza, ha confermato la pronuncia emessa dalla Corte d’Appello, secondo la quale i versamenti richiamati dai convenuti dovevano essere qualificati come finanziamenti, e non come versamenti in conto capitale. Dunque, secondo la ricostruzione giudiziale, i soci non avevano conferito capitale di rischio, così ottemperando al richiamato art. 2447, bensì avevano effettuato un prestito alla società, per sua natura passibile di essere rimborsato.
I giudici di merito, ha precisato la Cassazione, hanno correttamente applicato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’individuazione della natura del versamento dipende dalla ricostruzione della comune intenzione delle parti, la cui prova va desunta in via principale dal modo in cui il rapporto ha trovato concreta attuazione, dalle finalità pratiche cui appare diretto e dagli interessi allo stesso sottesi, e solo in subordine dalla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto in bilancio, la cui portata può risultare determinante, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà negoziale, in considerazione della sottoposizione del bilancio all’approvazione dei soci. E proprio la mancanza di una diversa ricostruzione, da parte dei ricorrenti, dell’intenzione dei soci ha portato la Corte ad attribuire rilevanza dirimente alla circostanza che i versamenti erano stati iscritti in bilancio come “altri debiti”, e non nelle riserve di capitale sociale, come sarebbe legittimo attendersi per versamenti in conto capitale.
Stabilito ciò, la Suprema Corte ha rigettato la tesi dei ricorrenti, condannandoli al risarcimento del danno conseguente alla condotta omissiva dell’ex amministratore.