29 Nov La nuova occupazione del dipendente licenziato non compromette il giudizio d’impugnazione del licenziamento
Secondo i giudici di legittimità, l’aver trovato una nuova occupazione durante il procedimento di impugnativa del licenziamento non significa perdita d’interesse all’accertamento, in quanto non sufficiente a configurare un’ipotesi di risoluzione del rapporto lavorativo per mutuo consenso.
Con sentenza del 4 novembre 2016, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso delle parti.
Accogliendo il ricorso di un dipendente che aveva trovato una nuova occupazione dopo aver impugnato il licenziamento, i giudici di legittimità hanno precisato le circostanze in cui il vincolo lavorativo può venir meno a seguito di fatti concludenti.
Posto che la mera inerzia del lavoratore non è di per sé sufficiente a provare una risoluzione del rapporto contrattuale, si dovrà accertare in concreto l’esistenza di una chiara ed inequivocabile volontà comune di porre fine alle obbligazioni assunte. L’onere della prova di tale volontà grava sul soggetto che eccepisce il mutuo consenso.
La Suprema Corte ha riscontrato l’assenza di ogni intento risolutorio nel comportamento di chi, come accaduto nel caso di specie, sia stato costretto a cercare un nuovo lavoro dopo esser stato licenziato. Per massima di comune esperienza, infatti, nelle more della preparazione di un ricorso e di conclusione del relativo giudizio, un lavoratore ha pur sempre l’urgenza di cercare una fonte di sostentamento per sé ed, eventualmente, per la propria famiglia.
Ne consegue che, secondo la Cassazione, per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o, comunque, a non proseguire il rapporto di lavoro – con conseguente perdita d’interesse all’accertamento giudiziale – è necessario il concorso di precise e significative circostanze circa la volontà delle parti. In proposito, non costituisce circostanza da sola significativa, l’avere il lavoratore, nelle more, ricercato o trovato un’occupazione, trattandosi di un comportamento non interpretabile, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinuncia al diritto.