30 Set La doppia contribuzione degli amministratori di S.R.L.
L’amministratore di una S.r.l. è tenuto ad iscriversi, oltre alla Gestione Separata, anche alla Gestione degli esercenti attività commerciale qualora presti attività lavorativa nella propria azienda con carattere di abitualità e preponderanza rispetto agli altri fattori produttivi.
La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 18919 del 28 luglio 2017, è tornata ad esprimersi sul tema della doppia contribuzione gravante, in taluni casi, sull’amministratore di s.r.l.
La pronuncia rappresenta l’epilogo di un procedimento giudiziario promosso da un amministratore di s.r.l. avverso una cartella esattoriale avente ad oggetto importi iscritti a titolo di contributi dovuti alla Gestione Commercianti INPS per un triennio. I giudici di merito, dopo aver ritenuto pacifica l’assoggettabilità – a determinate condizioni – dell’amministratore alla doppia iscrizione contributiva, avevano ravvisato, nella prestazione lavorativa svolta dall’amministratore a favore della società, un carattere di abitualità e prevalenza tale da integrare l’obbligo, per l’amministratore, di iscrizione alla Gestione degli esercenti attività commerciali.
Difatti, secondo un orientamento giurisprudenziale dominante, ai fini dell’affermazione dell’obbligo della doppia iscrizione (alla Gestione Separata e alla Gestione commercianti) è necessario che il contribuente svolga contemporaneamente sia l’attività autonoma (per la quale è prevista l’iscrizione nella Gestione Separata), sia l’attività commerciale (che comporta l’iscrizione nella Gestione commercianti) e che quest’ultima sia un’attività abituale e preponderante rispetto agli altri fattori produttivi propri dell’impresa.
I giudici di merito hanno ravvisato la sussistenza di tale situazione di fatto nel caso in oggetto. Difatti, è emerso che la ricorrente ha gestito l’intera attività aziendale in modo del tutto autonomo, occupandosi in prima persona dell’acquisto e della rivendita dei prodotti commerciati sino alla cessazione dell’attività sociale. Era indubbio, quindi, che l’attività commerciale svolta dall’amministratore fosse preponderante rispetto all’attività gestoria della società svolta dallo stesso.
A seguito delle pronunce di merito che la vedevano soccombente, l’attrice ricorreva in Cassazione, sostenendo che l’INPS non avesse provato l’abitualità e la preponderanza dell’attività commerciale e che la Corte d’Appello avesse basato la propria valutazione esclusivamente su indizi non gravi. La Suprema Corte, tuttavia, respingeva il ricorso, evidenziando come lo svolgimento abituale e prevalente dell’attività commerciale da parte dell’amministratore era comprovata dalla totale assenza di dipendenti o collaboratori impiegati nell’azienda, ad eccezione dell’amministratore stesso.