27 Dic LA CASSAZIONE RICONOSCE IL VALORE PROBATORIO DEI MESSAGGI INVIATI TRAMITE WHATSAPP
La Corte di Cassazione riconosce il valore probatorio dei messaggi scambiati mediante la chat telematica “Whatsapp”, purché le relative trascrizioni siano accompagnate dal supporto originale contenente detta registrazione.
Con la recente sentenza n. 49016/2017 della Quinta Sezione Penale, la Corte di Cassazione ha affermato la rilevanza processuale delle comunicazioni trasmesse per mezzo del canale informatico “Whatsapp”, ritenendo che esse costituiscano, ai sensi dell’art. 234, comma 1, c.p.p., “una valida forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale si può certamente disporre legittimamente ai fini probatori, trattandosi di una prova documentale”.
Tale principio era già stato riconosciuto da ben due diverse pronunce di merito civili: da un lato, nel mese di marzo 2017, il Tribunale di Ravenna, alla luce dei messaggi rinvenuti su Whatsapp, aveva condannato una donna a restituire il denaro prestatole per acquistare un’autovettura e, dall’altro, il Tribunale di Catania, con ordinanza del 27 giugno 2017, aveva ritenuto legittimo, per la sussistenza della forma scritta ad substantiam e per il contenuto della comunicazione, il licenziamento così intimato al lavoratore.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che le trascrizioni delle conversazioni intercorse tra l’imputato e la persona offesa non fossero sufficienti ex se: per i giudici di legittimità, infatti, l’utilizzabilità della prova in questione rimane subordinata all’acquisizione del supporto – telematico o figurativo – contenente la registrazione.
Si rivela infatti necessario l’esame diretto del supporto per verificare l’affidabilità della prova e determinare con certezza sia la paternità delle registrazioni che l’attendibilità di quanto documentato, atteso che la trascrizione svolge una funzione meramente riproduttiva del contenuto della principale prova documentale.