01 Giu IVA: LA NOZIONE DI IMPRESA COMMERCIALE RILEVANTE AI FINI TRIBUTARI NON COINCIDE CON QUELLA CIVILISTICA
In tema di imposta sul valore aggiunto, la giurisprudenza di legittimità torna a chiarire come la nozione di impresa commerciale non coincide con quella civilistica, ma deve essere ricavata dalla normativa comunitaria, secondo cui si intende inerente all’esercizio dell’impresa ogni operazione che comporti lo sfruttamento di beni materiali per ottenerne introiti aventi un certo carattere di stabilità.
La Corte di Cassazione, con la recente Ordinanza n. 9461/2018, torna a pronunciarsi sulla nozione di impresa commerciale rilevante ai fini dell’individuazione del presupposto impositivo in materia di IVA.
Nella fattispecie, la questione sottoposta al vaglio di legittimità riguardava un contenzioso sorto tra una società immobiliare e l’Agenzia delle Entrate in merito alla detraibilità dell’imposta, in quanto l’IVA dichiarata non era stata ritenuta dall’autorità fiscale afferente l’esercizio di un’attività imprenditoriale. In particolare, pur se il contribuente sosteneva di aver dimostrato l’esercizio effettivo di una attività d’impresa conforme al proprio oggetto sociale (attraverso la produzione delle dichiarazioni dei redditi e dei bilanci) non risultava provata, secondo la tesi erariale, l’effettuazione di alcuna attività d’impresa, né se vi fosse manodopera oppure esistesse una qualche clientela.
Seguendo il percorso logico-argomentativo dell’ordinanza in esame, la Corte ha preliminarmente sottolineato che, in tema di IVA, la nozione di impresa commerciale non coincide con quella civilistica, ma deve essere ricavata dalla vigente Direttiva 112/2006/UE, secondo cui si intende inerente all’esercizio d’impresa ogni operazione che comporti lo sfruttamento d’un bene materiale per ottenerne ricavi ed altre componenti positive di reddito aventi un certo carattere di stabilità.
Tale requisito di stabilità, inoltre, deve essere interpretato nel senso dell’abitualità e della professionalità dell’attività imprenditoriale come sopra definita, dovendosi pertanto escludere, ai fini IVA, ogni attività commerciale o agricola che si esaurisca in isolati atti di produzione o commercio, nonché si caratterizzi per il fatto di soddisfare interessi non già a favore dell’impresa quale ente collettivo, bensì a favore di singoli soci (es. società di comodo).
Sulla scorta di quanto precede, i giudici hanno riscontrato l’assenza di ogni carattere imprenditoriale dell’attività esercitata dalla società immobiliare, e ciò in quanto gli elementi probatori forniti da quest’ultima costituivano meri elementi formali, dai quali non era possibile ottenere alcun riscontro preciso né sull’attività effettivamente svolta dalla società né sul suo carattere di stabilità.
In conclusione, per la Suprema Corte il rimborso dell’IVA può essere legittimamente richiesto dalle sole società che – ancorché non organizzate in forma di impresa nel senso civilistico del termine – svolgono attività commerciale o agricola su base continuativa e stabile. In assenza di dette condizioni, le società contribuenti sono considerate meri soggetti passivi d’imposta – e, dunque, equiparate a tutti gli effetti a consumatori finali – con la conseguenza che il tributo sul volume d’affari inerente gli acquisti di beni e servizi resta integralmente a loro carico.