Corte EDU: il controllo della mail aziendale dei dipendenti può configurare una violazione della privacy

30 Set Corte EDU: il controllo della mail aziendale dei dipendenti può configurare una violazione della privacy

Con una recente sentenza, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che il controllo, da parte del datore di lavoro, delle mail aziendali dei dipendenti può configurare un’illegittima violazione della privacy.

La sentenza in oggetto rappresenta l’epilogo di una intricata vicenda giudiziaria, sorta a seguito del licenziamento disciplinare comminato ad un cittadino romeno, il quale aveva utilizzato la posta elettronica aziendale per scambiare comunicazioni con il fratello e la fidanzata.

Il datore di lavoro, accortosi dell’utilizzo anomalo della mail aziendale da parte del proprio dipendente, dopo averlo convocato per ricevere spiegazioni, ne aveva intimato il licenziamento per violazione del regolamento aziendale, che proibiva l’utilizzo a fini personali degli strumenti aziendali, quali la posta elettronica e la fotocopiatrice.

Il dipendente, per contro, si era rivolto al giudice nazionale, lamentando l’illegittimità del licenziamento e la violazione della propria corrispondenza e della propria vita privata. I giudici rumeni hanno tuttavia ritenuto legittimo il licenziamento, in ragione del fatto che il regolamento aziendale era stato sottoscritto dal dipendente e che questo era stato reso edotto delle conseguenze della violazione del suddetto regolamento. Né i giudici hanno ritenuto sussistere un’ingiusta violazione della segretezza della corrispondenza del dipendente, dal momento che il datore di lavoro era titolare della mail aziendale e che, comunque, aveva avuto accesso al contenuto delle mail private del dipendente al solo fine di verificare la versione fornita dallo stesso, il quale aveva sostenuto di aver usato la mail per soli scopi professionali.

A seguito della doppia bocciatura espressa dai giudici rumeni, il lavoratore si è rivolto alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sostenendo che la Romania aveva fallito nel proteggere il diritto alla vita privata ed alla segretezza della corrispondenza sancito dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte di Strasburgo, dal canto suo, ha confermato che anche le comunicazioni private scambiate sul posto di lavoro rientrano nel concetto di “vita privata” e di “corrispondenza”, ed ha perciò ritenuto pienamente applicabile il citato articolo della Convenzione.

Ad avviso della Corte, la vita sociale privata sul posto di lavoro, seppur limitata per quanto necessario, non può essere ridotta a zero dal datore di lavoro. Tale interesse del lavoratore non è stato correttamente bilanciato con il contrapposto interesse del datore di lavoro al buon andamento dell’azienda: difatti, non è stato accertato quali rischi concreti per l’azienda avesse comportato la condotta del dipendente, né è stata verificata la possibilità, per il datore di lavoro, di scongiurare tali eventuali rischi approntando metodi di monitoraggio meno invasivi di quello effettivamente adottato. Per tali ragioni la Corte EDU ha accolto il ricorso, condannando la Romania al risarcimento dei danni subiti dal ricorrente.