30 Set Autoriciclaggio: anche l’intestazione fittizia di quote può essere reato presupposto.
Con la recentissima sentenza n. 43144, depositata il 21 settembre 2017, la Suprema Corte ha ampliato il novero dei reati presupposto del delitto di autoriciclaggio per ricomprendervi anche l’interposizione fittizia di quote societarie.
La tesi difensiva sosteneva che il delitto in questione non potesse fondare un’accusa di autoriciclaggio poiché non produce direttamente profitti illeciti da essere poi riciclati o reimpiegati (non potendo considerarsi tali i profitti derivanti dalle attività delle società le cui quote siano risultate fittiziamente intestate).
Di diverso avviso la Corte di Cassazione, secondo cui il delitto di intestazione fittizia ha una evidente funzione di reato-ostacolo, diretta a impedire l’accumulazione, il godimento e lo sfruttamento economico di beni (ad esempio riferibili a soggetti sospettati di appartenere a organizzazioni criminali, come nel caso di specie).
In altre parole – sostiene la Corte – l’intestazione fittizia di quote societarie costituisce di per sé un modus operandi di ostacolo all’accertamento da parte dell’autorità investigativa attraverso la divergenza formale e sostanziale tra l’intestatario dei beni e colui che, per effetto di precedenti specifici in materia di antimafia, potrebbe essere destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale.
La Cassazione ha dunque chiarito, in termini generali, che non necessariamente il reato presupposto debba essere produttivo di attività economiche da reimpiegare in iniziative imprenditoriali lecite (almeno, non in termini strettamente naturalistici).
Diversamente ragionando, si finirebbe per attribuire un effetto di sanatoria ad attività produttive di profitto economico che siano state oggetto di precedenti reati, come in questo caso attraverso una iniziale intestazione fittizia di quote.