NESSUN RISARCIMENTO DALL’AMMINISTRATORE IN CONFLITTO DI INTERESSI SE LA SOCIETA’ NON PROVA IL DANNO

28 Giu NESSUN RISARCIMENTO DALL’AMMINISTRATORE IN CONFLITTO DI INTERESSI SE LA SOCIETA’ NON PROVA IL DANNO

Con recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’obbligo di risarcire il danno provocato dall’amministratore che agisce in conflitto di interessi sorge solo a seguito della prova del danno e del suo nesso con l’operazione oggetto del conflitto di interessi.

L’amministratore che nutra un interesse in un’operazione della società che amministra ne deve dare comunicazione agli altri amministratori e al collegio sindacale, precisando la natura, i termini, l’origine e la portata di tale interesse, ai sensi dell’art. 2391 c.c. Non vige, invece, un divieto assoluto per gli altri amministratori di porre in essere l’operazione, dal momento che l’obbligo di informativa scatta in presenza di qualsiasi interesse e, pertanto, gli interessi della società e dell’amministratore potrebbero non essere in conflitto, bensì coincidenti. Tuttavia, qualora il Consiglio di Amministrazione ritenga di dover ugualmente procedere con l’operazione, dovrà farlo con deliberazione che motivi adeguatamente le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione.

L’omissione dell’obbligo c.d. “di disclosure” è sanzionato dal quarto comma del citato art. 2391 c.c. con il risarcimento dei danni derivati alla società dalla azione od omissione dell’amministratore in conflitto.

Tuttavia, elemento essenziale per il sorgere dell’obbligo di risarcimento è pur sempre il nesso di causalità tra l’azione od omissione dell’amministratore ed il danno arrecato alla società. La conferma arriva dalla Corte di Cassazione, che, con ordinanza 1° giugno 2018, n. 14072, ha precisato che, nel caso di responsabilità per omessa comunicazione dell’interesse, la società deve fornire la prova che la conoscenza delle informazioni oggetto della mancata comunicazione avrebbe indotto il consiglio di amministrazione a non compiere l’operazione, poi rivelatasi dannosa. Peraltro, il danno lamentato dalla società non potrà essere meramente potenziale, occorrendo invece che il pregiudizio si sia già concretizzato a discapito della società.

Sulla scorta di tali motivazioni, la Suprema Corte ha, pertanto, rigettato la tesi dei ricorrenti, i quali avevano letto, nell’art. 2391 c.c., un inversione dell’onere probatorio in capo all’amministratore in conflitto d’interessi; onere che, invece, non può che gravare sulla società attrice, coerentemente al principio generale di cui all’art. 2697 c.c. secondo cui la prova del danno non è in re ipsa nella violazione e compete a chi sostiene di averlo subito.