02 Mar La scientia decoctionis può essere provata dalle notizie di stampa
Secondo la Suprema Corte, la conoscenza dello stato di decozione di una società da parte della sua creditrice può essere provata anche mediante i numerosi articoli di stampa riguardanti i problemi finanziari della debitrice.
Preliminarmente, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 67, commi 1 e 2, L. Fall., alcuni pagamenti fatti dalla società debitrice (poi fallita) alla società creditrice possono essere revocati, se compiuti – a seconda dei casi – nell’anno o nei sei mesi precedenti alla dichiarazione di fallimento, se risulta che la creditrice era a conoscenza dello stato di insolvenza della debitrice (c.d. “scientia decoctionis”).
Nel caso in esame, secondo quanto argomentato dalla Corte d’Appello, non era stata provata la sussistenza del requisito della scientia decoctionis, non potendo rilevare a tal fine la pubblicazione dei, seppur numerosi, articoli di stampa riguardanti il dissesto finanziario della società fallita.
A supporto di tale tesi, la Corte d’Appello adita, da una parte aveva ricordato che non esiste un “dovere di lettura” gravante in capo alla società creditrice; dall’altra aveva sottolineato che tale società era un normale operatore commerciale e non un operatore finanziario in grado di poter cogliere dalle informazioni diffuse dalla stampa una chiara percezione dello stato di dissesto delle imprese.
Ad una opposta conclusione è pervenuta, invece, la Corte di Cassazione. Dopo aver richiamato il nutrito orientamento giurisprudenziale in materia, i giudici di legittimità hanno affermato la piena idoneità della pubblicazione di notizie di stampa a costituire un indizio da cui poter trarre la prova della conoscenza, da parte dell’accipiens, della situazione di insolvenza della società debitrice. E a nulla vale richiamare l’inesistenza di un dovere di lettura, dal momento che “una notevole parte della popolazione (ivi inclusa quella che dirige o collabora all’attività d’impresa) è solita consultare la stampa ed informarsi da quanto essa pubblica, anche per propria utilità, oltre che per curiosità”. Allo stesso modo è stata rifiutata l’argomentazione che faceva leva sulla natura commerciale della società creditrice, in quanto non riferibile, in via generale ed astratta, all’intera categoria degli operatori non finanziari.